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L’attuale emergenza legata alla diffusione del coronavirus ha sconvolto il mondo, l’Italia e la vita di ciascuno di noi.
L’impatto psicologico che il momento che stiamo vivendo ha sulla nostra mente è fortissimo, e riguarda sia il personale sanitario coinvolto direttamente nella gestione medica della pandemia che tutti coloro che, stando a casa, hanno modificato radicalmente la propria vita.
L’emergenza medico-sanitaria ha colto di sorpresa lo Stato e il sistema sanitario, catapultando medici, infermieri e tutte le persone direttamente coinvolte – addetti alle pulizie, personale delle pompe funebri, sacerdoti impegnati nella celebrazione dei funerali – in un orizzonte nuovo, caratterizzato da pressione, emergenza, incertezza, ritmi di lavoro insostenibili ed esposizione ad emozioni complesse: paura, angoscia, frustrazione, rabbia, solitudine, smarrimento, senso di colpa.
Sicuramente la fase acuta legata alla rapida diffusione pandemica del virus ha richiesto una risposta in tempi rapidissimi che non ha consentito una pianificazione razionale, anche in virtù della scarsa conoscenza del fenomeno, e che ha imposto alla psiche di congelare le emozioni per favorire comportamenti e ragionamenti. Succede questo durante le esperienze traumatiche: la mente si protegge con un meccanismo difensivo che isola le componenti affettive ed emotive congelandole, riservandosi di analizzare in un secondo momento, privilegiando l’azione, i comportamenti, il ragionamento logico-razionale.
Al termine dell’urgenza tali aspetti emotivi, scissi e rimossi, rimasti nella mente in modo non metabolizzato, iniziano ad influenzare pensieri, comportamenti, relazioni, i sogni e la vita quotidiana.
Spesso si manifestano in modo inaspettato ed improvviso, con aspetti somatici come tachicardia, affanno, giramento di testa, sudorazione, dolori muscolo-scheletrici o gastrointestinali, disfunzioni sessuali, perdita di libido, disturbi alimentari o del sonno, intense sensazioni di paura, dissociazione, depersonalizzazione o derealizzazione.
Tali manifestazioni sono tipiche di disturbi d’ansia come il Disturbo Post Traumatico da Stress, derivante appunto dall’aver vissuto esperienze traumatiche, in cui noi e/o persone a noi vicine sono state esposte al pericolo di morte, o Disturbo da Attacchi di Panico o ancora Disturbi dell’Umore di carattere ansioso-depressivo, Disturbi del sonno o Somatizzazioni.
E’ quindi facilmente prevedibile che le persone che sono state esposte all’emergenza medica, lavorando attivamente con ritmi insostenibili e carichi emotivi tragici come l’angoscia di morte, l’impotenza, la perdita dei legami affettivi più intimi, avranno delle ricadute psicologiche. E’ dunque fondamentale che possano dare voce alle emozioni congelate, iniziando a scioglierle, condividendole con uno psicoterapeuta, iniziando a raccontarle e attraverso il processo narrativo a integrarle nella loro psiche, riproporzionando il peso di quanto vissuto restituendogli umanità.
Infatti l’emergenza, i tempi, il numero dei malati e dei morti, le distanze, le divise anticontaminazione che negano l’identità, l’assenza di contatto fisico e visivo con l’altro, hanno creato un contesto disumano, alienato, che ha aggravato notevolmente l’impatto psichico del Covid19.
Mi viene in mente la scena nel film E.T. quando il piccolo alieno viene portato via dai su nuovi amici umani e sradicato dalla sua casa, prelevato da personale in uniforme anticontaminazione.
Come precedentemente accennato, però, la diffusione del Covid 19 ha avuto un impatto anche sulle persone non direttamente coinvolte nella gestione sanitaria del fenomeno. Ognuno di noi ha dovuto radicalmente modificare la propria vita quotidiana, si sono persi riferimenti, suoni, ritmi, odori, incontri, luoghi, persone. Siamo stati esposti alla paura del contagio, qualcuno ha perso persone care, qualcuno si è ammalato e ha vissuto con la costante paura della morte, qualcuno ha avuto necessità di un ricovero lungo e tragico, l’incontro con l’altro è diventato pericoloso, facendo aumentare pensieri intrusivi di controllo e contaminazione.
L’isolamento forzato ha consentito di relazionarsi fisicamente soltanto con le persone con cui si condivide l’abitazione, ed ha imposto un tempo diverso, dilatato, alla vita fisica e psichica.
Per molti è l’occasione per valorizzare le proprie relazioni intime, i rapporti di coppia, i propri figli, per altri l’esasperazione degli stessi, l’aumento dei conflitti, della solitudine e della rabbia, l’aumento della violenza domestica tra coniugi o nei confronti dei bambini.
Come Giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni rivolgo un pensiero anche tutte quelle situazioni in cui i minori sono stati allontanati dal nucleo familiare, che non hanno potuto continuare a frequentare i propri genitori con gli stessi ritmi, un’esperienza traumatica per bambini, madri e padri.
Esistono dunque molte motivazioni che possono aver creato la necessità di una riflessione psicologica su quanto vissuto.
Come tutte le crisi però, questo stravolgimento mondiale ci consente anche di rompere degli schemi, offrendoci l’opportunità di costruirne degli altri e di trasformazioni profonde a livello individuale, sociale e culturale.
È aumentato il tempo che trascorriamo con i nostri pensieri, qualcuno in solitudine, e questo impone di guardarsi dentro; Nietzsche scriveva “Se si tace per un anno, si disimpara a chiacchierare e si impara a parlare”, sottolineando l’opportunità di accrescimento che lo stare da soli può fornire.
Molte persone si difendono da ciò riempiendo le giornate di impegni in preda all’ansia e all’inseguimento del compito successivo fino al crollo nel sonno, questo non è più possibile nei tempi del lockdown. E’ ipotizzabile che abbiano preso consapevolezza di ciò, contattando malesseri e insoddisfazioni celate dai ritmi della vita pre-coronavirus; in questo caso sarebbe un’ottima occasione per iniziare un percorso psicoterapeutico e per gestire con maggiore consapevolezza e soddisfazione la propria vita.
I dispositivi tecnologici durante la quarantenaci hanno consentito di mantenere relazioni seppur a distanza e di continuare a lavorare; nel mio caso sto portando avanti la psicoterapia con i pazienti attraverso Skype. Nonostante lo scetticismo iniziale rispetto alla modificazione radicale del setting da parte mia come psicoanalista e dei pazienti, chi più chi meno, la mia personale esperienza di lavoro e di relazione attraverso questi dispositivi è più che positiva. Parlare dalla propria casa, e l’impossibilità di un incontro vis-à-vis può creare un’intimità speciale, la possibilità di un avvicinamento maggiore. Penso ad una mia paziente, scettica inizialmente su questa modalità di lavoro, con cui abbiamo condiviso una seduta speciale, una di quelle che costituiscono una pietra miliare in un percorso analitico; o ad un’altra paziente che ha continuato a dialogare attraverso i social con una persona che aveva conosciuto da poco, trascorrendo molte ore insieme parlando e raccontandosi. In questo caso l’impossibilità dell’incontro fisico, di un incontro anche sessuale, ha consentito di costruire una maggiore conoscenza e intimità, posticipando quella fisica, favorendo l’accrescimento del sentimento, che si nutre del desiderio e non dell’appagamento dello stesso, come spesso ricordato da Galimberti e, citando nuovamente Nietzsche, impedendo che “la sensualità affretti la crescita dell’amore rendendo le sue radici deboli e facili da strappare“.